Autore: Caterina Gammaldi
A due giorni dal primo settembre si torna a scrivere di scuola in prima pagina, riproponendo, per il terzo anno consecutivo, i problemi non risolti e la questione della sicurezza. Temi e problemi che richiedono l’attenzione di tutti, a partire dal personale scolastico, dai genitori, dagli studenti, che non possono essere l’unico argomento in tema di scuola.
Siamo, è vero, in una nuova fase, tutti consapevoli che non siamo usciti fuori dal tunnel. Rispettare le regole, vaccinarsi è ancora quel che dovremo continuare a chiedere di fare e a fare.
Ma…. Si torna in aula, nei laboratori, a mensa, in palestra, spazi e tempi di vita per i bambini e i ragazzi insostituibili. Non è tempo di slogan, se mai di dare senso all’imparare insieme, nonostante la situazione data.
Ci saranno i green pass, i tamponi a campione per le classi dei più piccoli, le certificazioni per chi non può vaccinarsi, la sospensione per chi, pur lavorando in un contesto educativo, rifiuta il vaccino invocando la libertà individuale…. Può bastare? Penso di no.
Un argomento fra gli altri meriterebbe attenzione, al di là delle affermazioni di rito, su quello che staremmo perdendo in termini di apprendimenti, a causa della pandemia.
In realtà sono troppi anni che, periodicamente, l’attenzione si sposta sull’insuccesso scolastico, sui dispersi, più recentemente sui NEET, senza mettere in discussione la qualità degli insegnamenti e i contesti sociali in cui le difficoltà educative vivono e crescono.
Non si può continuare genericamente a parlare e a scrivere di aumento della povertà educativa senza porre la dovuta attenzione ad aspetti che meritano una visione che faccia perno sui ritardi culturali divenuti ormai insopportabili.
A poco serve alimentare il dibattito conoscenze vs competenze, educazione vs istruzione, personalizzazione vs individualizzazione, programma vs curricolo, didattica in presenza vs didattica a distanza … se non si concentra l’attenzione su cosa debba intendersi per ora di lezione e gruppo classe.
Io penso che, in tutti questi anni, non abbiamo posto al centro dell’attenzione il tema del senso della scuola. Viviamo in un tempo sospeso, in cui appare necessario porsi una domanda centrale. Pensiamo davvero che la scuola sia tempo e spazio di vita per tutte e per tutti i bambini e gli adolescenti che vivono nel nostro paese?
Una domanda che sento il dovere di porre, ancora una volta, alla politica, al mondo della cultura e del lavoro, agli adulti che ancora sostengono che la scuola è per chi ce la fa.
Trovo fuorviante porre in primo piano i dati INVALSI per dimostrare che la scuola non ce la fa perché non ha scelto la modernizzazione, salvo poi reclamare, per vincere l’ ignoranza, una quantità di argomenti che farebbero la differenza e aumenterebbero l’esclusione, ovvero la selezione di classe.
Inascoltati continuiamo a pensare che il cuore della scuola sia la dimensione formativa delle discipline, una scelta che comporta di porre in modo serio la questione del sapere utile per la cittadinanza oggi e per il futuro.
Una scelta culturale che richiede, ancora una volta, come fece Tullio De Mauro nel 2000, che accanto agli esperti disciplinari ci sia il mondo della scuola, ovvero tutti coloro che non hanno mai smesso di riflettere, di fare ricerca e sperimentazione e di voler far vivere una scuola secondo Costituzione.
Basta una scuola collocata al mattino, scandita da un’ora dietro l’altra? Certo che no. Ma per far vivere un nuovo modello organizzativo in cui convivano la lezione frontale, i laboratori, i gruppi di apprendimento bisogna creare le condizioni favorevoli e investire sugli insegnanti, sulla loro formazione culturale e professionale. Agli esperti esterni non può essere affidata la soluzione di problemi di insegnamento – apprendimento.
La scuola non è un altrove.